La caccia alle streghe è davvero un ricordo così lontano?
Donne perseguitate, condannate a un destino fatale, emarginate dalla società, costrette a lottare contro la povertà e l’isolamento, accusate di pratiche magiche, ma solidali. In un contesto di realtà e finzione, l’autrice londinese A.K. Blakemore ci trasporta nel 1643 a Manningtree, una cittadina nel Sussex, Inghilterra, dove la caccia alle presunte streghe, nel periodo della guerra civile inglese, colpisce Rebecca West e sua madre, insieme a molte altre donne denunciate, imprigionate e giustiziate. Questa è la trama del suo esordio letterario, “Le streghe di Manningtree”, recentemente pubblicato in Italia dalla casa editrice Fazi, con la traduzione di Velia Februari. La scrittrice e poetessa è stata protagonista all’ultima edizione di Più Libri più Liberi a Roma.
“La storia delle streghe e della stregoneria mi ha sempre affascinato molto. Questo romanzo si basa su eventi realmente accaduti a Manningtree, la città in cui risiede mio padre. Ho voluto approfondire questa storia, spesso resa surreale con esagerazioni e distortions della realtà,” racconta la scrittrice-poetessa all’ANSA.
La domanda sorge spontanea: quali sono gli elementi di finzione presenti nella narrazione? “Affrontando gli eventi di quel periodo, ho dovuto accettare che l’oggettività pura era impossibile. C’è sempre un amalgama di realtà e fantasia. Il capo dei cacciatori di streghe, Matthew Hopkins, e il suo complice John Stearne, che agirono nell’Anglia orientale e nelle contee vicine a Londra dal 1644 al 1646, contribuirono a condannare a morte per stregoneria un numero di donne stimato tra cento e trecento. ‘Le streghe di Manningtree’ è la mia interpretazione di ciò che è accaduto. Sono sempre stata attratta dagli aspetti più oscuri della vita, dalle nostre paure, dai film horror e dalle serie tv sui vampiri. Mi piace immaginare storie di paura e mostri, anche solo per spaventare me stessa. Ci sono elementi che fanno rabbrividire e che intrattengono.”
A Manningtree, la giovane Rebecca vive in una modesta dimora sulle colline, immersa in un’atmosfera tetra con la minaccia costante della povertà, ma il suo cuore palpita al pensiero dello scrivano John Edes. Tutto cambia quando in città fa la sua comparsa l’inquisitore Hopkins, ponendo strane domande alle donne più umili e sfortunate. Paura e sospetto si insinuano per le strade della cittadina quando un bambino si ammala e delira di congreghe e patti. Seguiranno il processo e le impiccagioni.
“Sono una femminista, così come mia madre. Essere femministe fa parte della mia identità e delle mie convinzioni politiche. In questo romanzo, ho cercato di narrare come la stregoneria e la caccia alle streghe siano radicate nella misoginia e nella violenza di genere. Tuttavia, è importante guardare al contesto specifico di quella caccia alle streghe, unico e diverso da quello attuale. C’è una certa continuità, è un tema ancora rilevante, ma ci sono molte differenze,” sottolinea Blakemore, che ha 32 anni. “Non vorrei che questo libro venisse interpretato come un’allegoria del mondo contemporaneo. Spero possa far riflettere sulle paure e su aspetti poco indagati. È la storia delle donne, poiché tutte siamo legate alla caccia alle streghe in qualche modo, è parte del nostro patrimonio genetico.”
Vincitrice del Desmond Elliott Prize per il miglior esordio nel Regno Unito con questo romanzo, A.K. Blakemore, nome d’arte di Amy Katrina Blakemore, ha anche scritto un secondo romanzo, ‘The Glutton’, uscito negli Stati Uniti e in Inghilterra a settembre. Questo libro si basa sulla figura storica di Tarare, un soldato famoso per il suo enorme appetito durante la rivoluzione francese, mangiando qualsiasi cosa, dal vetro alle conchiglie, un libro che definisce “molto divertente.”
Quando si parla di possibili adattamenti cinematografici o televisivi, Blakemore afferma: “Ci sono state alcune proposte per entrambi i libri, ma non posso discuterne.” La scrittrice divide il suo tempo tra la scrittura e il lavoro in ufficio. “Sono ancora un’impiegata. La vita a Londra è costosa. Ho scelto di utilizzare lo pseudonimo A.K. perché, quando ho iniziato a scrivere, non volevo che le persone sul lavoro potessero trovarmi online e anche per mantenere separate le due identità. A.K. è la scrittrice, Amy Katrina è la persona con cui puoi uscire,” dice mentre mostra i tatuaggi sulle braccia tirandosi su le maniche della camicetta. E riguardo a un possibile terzo libro? “Quando si fa qualcosa di autentico come scrivere, a volte è importante fermarsi. Tuttavia, ho alcune idee e inizierò presto. Avere due libri pubblicati a 32 anni è comunque un buon risultato,” conclude serena.