Questo articolo ci immerge nell’antica pratica della stregoneria, tratteggiando la vita di una strega bergamasca attraverso un inedito manoscritto secentesco. Prima di addentrarci in questo racconto, è essenziale comprendere appieno il fenomeno della stregoneria e il contesto socio-culturale che l’ha generato.
Le radici della figura della “Strega” affondano nel remoto passato, quando uomini e donne celebravano rituali dedicati alla Grande Dea per invocare fertilità e procreazione. Da queste pratiche si è sviluppata, in seguito, la stregoneria come la conosciamo.
Per capire appieno chi fossero le streghe, è fondamentale fare un’escursione etimologica. Il termine “strega” trae origine da “strix”, un uccello notturno mitico, descritto da Plinio come un gufo con testa imponente, occhi penetranti, becco, e artigli simili a quelli di un rapace, con piume chiare. Secondo la tradizione, questo essere penetrava nelle abitazioni per cibarsi del sangue dei bambini o per allattarli, avvelenandoli. Da qui nasce il termine “striges”, e quindi “strega”. Naturalmente, esistono vari termini locali che indicano queste presunte donne demoniache, come le “Gatte Masciare” in Puglia, le “Masche” in Piemonte, le “Janare” in Campania, solo per citarne alcuni. In ognuna di queste etimologie è insito un indizio sulle origini del termine “strega”.
Con l’avvento della Nuova Religione, il rispetto per gli antichi dèi si è trasformato in adorazione del diavolo, e i rituali precedentemente dedicati alla fertilità sono diventati atti sessuali e libidinosi. Ciò che rimaneva dei riti di fertilità, ancora celebrati nelle campagne, noti come “Pagani” (abitanti del “Pagus”), sono diventati il territorio del Male.
Le cerimonie gioiose sono state demonizzate e trasformate nel famigerato “Sabba”, incontri demoniaci in cui venivano compiuti atti sessuali e sensuali.
Inizialmente, la Chiesa considerava queste credenze come sciocche superstizioni pagane, attribuendole a sogni ispirati da Satana che coinvolgevano le donne di ceto sociale basso.
Tuttavia, nonostante i tentativi della Chiesa di estirpare queste pratiche, queste credenze hanno continuato a persistere tra la popolazione. Nel XI secolo, compare il primo testo significativo che affronta il fenomeno della stregoneria: il “Canon Episcopi”. In esso si fa menzione per la prima volta della “società di Diana”, donne ingannate dal diavolo e accusate principalmente per la loro credulità.
“…una certa donna di nome Catarina del Castello della Pieve per averne un rimedio per non rimanere incinta, non essendo ancora sposata ed avendo coabitato varie volte con un certo presbitero…e temeva che poteva verificarsi il caso di rimanere incinta…la detta Matteuccia disse di prendere un’unghia di mula, di bruciarla e ridurla in polvere e di bere detta polvere mescolata al vino, dicendo queste parole, cioè: io te piglio nel nome del peccato, et del demonio maiure, che non possa mai appicciare più…” Negli incartamenti si narra di come la donna, attraverso l’uso di particolari unguenti, potesse trasformarsi in gatta, la “masipula conversa”, dal termine latino musio poi erroneamente tradotto dal Mammoli, che ne riscopre il documento, con il termine di mosca. La trasformazione in gatto non è casuale, l’animale è infatti il famiglio delle streghe per eccellenza. Molti sono i racconti popolari che narrano di ferite inferte da contadini ai gatti notturni poi ritrovate, il giorno successivo, sul corpo di alcune donne del paese.“
Le punizioni erano relativamente leggere, andando dai 40 giorni a un anno di prigione o a semplici penitenze.
“…I vescovi e i loro ministri facciano in modo di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalle loro parrocchie la pratica perniciosa inventata dal diavolo; e se trovassero uomini o donne che si dedicano a tali scelleratezze li caccino dalle parrocchie perché si tratta di gente turpe e disonesta…“.
Fino ai primi del 1300, l’atteggiamento della Chiesa verso la stregoneria è stato relativamente tollerante. Tuttavia, nel 1233, con la Bolla Vox in Rama, Papa Gregorio IX ha iniziato a prestare maggiore attenzione al fenomeno. Tra il 1280 e il 1300, diverse donne sono state accusate e processate, non per stregoneria, ma per eresia.
Tuttavia, eventi come le carestie del 1315-17, l’epidemia di Peste Nera del 1347-50 e le ondate di eresie che si diffusero in Europa promossero una politica più aggressiva contro le presunte streghe.
In questo periodo, emerse l’immagine delle seguaci del demonio: donne che si dicevano succhiassero il sangue dei bambini, si nutrissero delle loro carni e li sacrificassero a Satana. Questo tema, radicato nel paganesimo romano, potrebbe derivare anche dall’associazione delle guaritrici con gli aborti post-partum.
“…Queste bestie eretiche hanno electo uno monte, el qual se chiama monte Tonale, nel qual se reduseno ad foter e balare, qui afirmano che non trovano al mondo nihil delectabilius et che onzendo un bastone, montano a cavalo et efìcitur equus, sopra il quale vanno a ditto monte et ibi inveniunt el diavolo, quale adorano per suo Dio et signore, et lui ge dà una certa polvere, con la quale dicte femene et homeni fanno morir fantolini, tempestar, et secar arbori et biave in campagna, et altri mali…”.
Nel 1484, Papa Innocenzo VIII diede inizio, con la sua bolla Summis desiderantes affectibus, alla triste caccia alle streghe, ulteriormente approfondita dal famigerato Malleus Maleficarum dei domenicani Jacob Sprenger e Heirich Kramer.
Fino all’inizio del 1500, l’attenzione degli inquisitori si concentrò sulla Valcamonica, territorio controllato da Brescia e Bergamo. Là, si diceva che le streghe si radunassero sul Tonale, uno dei luoghi più noti per il sabba in Italia.
Il documento che segue narra la breve vicenda di una strega bergamasca, inserendosi in un contesto di persecuzione più ampio contro la stregoneria nella Lombardia dell’epoca. Questi processi sono solo una piccola parte di quelli che si svolsero in questa regione. A Bergamo, in particolare, non ci sono molte notizie documentate di streghe. Tuttavia, la città vanta alcune figure notevoli come Benvenuta, conosciuta come “Pincinella”, e Caterina de Pilli di Bergamo, soprannominate Ruggiera da Monza, che furono condannate per stregoneria e arse al rogo.
“Una donna con una figliola di 9 anni dal suo palazzo, in Bergamo, “presi certi unguenti che tenea sotto il letto zozzo e alcuni quadrelli,se ne unse tutto il corpo. Preso un bastone se lo mise sotto come cavalcando…uscì dalla finestra di detta camera che più non la si vide. La figliola ungersi anch’essa e spogliatasi fece lo stesso che avea visto fare alla madre…e in un brevissimo tempo furono in Venetia…in casa di certi parenti, tutta ignuda, e trovò ivi la madre che procedea a stregare un figlio di quelli nel letto…che spaventato gridò l’Ave Maria. Immediata sparve sua madre e ella si trovò da sola etutta ignuda…e senza unguanto che l’aveva trasportata. Tutto confessò la povera figlia …e l’ Inquisizione di Bergamo fece subito pigliare quella donna”.
Nel complesso, queste testimonianze e processi ci offrono uno sguardo nel mondo della stregoneria nella Lombardia del passato, delineando il difficile contesto in cui vivevano e venivano perseguitate le presunte streghe.